Il periodo Greco

Il periodo Greco

I Greci

Nell’VIII secolo a. C. i naviganti greci evitavano di approdare sulle coste della Sicilia, perché temevano di scontrarsi con i Siculi, considerati crudeli e pericolosi. Sembra, tuttavia, che il navigante ateniese Theokles, naufragato sulle coste orientali della Sicilia, poté constatare il clima favorevole e la fertilità della terra. Rientrato in Atene, preparò una spedizione di Dori, Joni, Calcidesi e ritornò nell'isola. Questo, almeno, è il racconto dello storico greco Eforo, trasmesso dal geografo Strabone. Anche prescindendo dalla veridicità di tale episodio, è certo che i Greci, impediti ad espandersi verso i potenti imperi dell'Asia Minore, furono obbligati a cercare l’espansione coloniale in Sicilia e successivamente nell'Italia meridionale, forti anche della loro progredita arte navale.
Nel 735 a.C. gruppi di coloni greci, unitamente ad Achei del Peloponneso settentrionale, a Dori e Calcidesi, approdarono sulle coste orientali della Sicilia. Poiché molti provenivano dall'isola di Naxos dell'Egeo, è probabile che la prima colonia fondata abbia avuto il nome di Naxos. Chiamarono, altresì, Monte Tauro la rocciosa altura che sovrasta la pianura, trovandola simile a quelle dei monti del Tauro dell'Asia Minore. I Siculi, che abitavano in quella pianura, furono costretti a ritirarsi sul monte. La prova dell'esistenza dei Siculi sul Monte Tauro è data dalla necropoli di Cocolonazzo di Castelmola, scoperta nel 1919.
Mentre la colonizzazione greca in un primo tempo era contenuta entro certe zone del litorale, con Dionisio il Vecchio (432-367 a. C.), tiranno di Siracusa, fu spinta in tutta la Sicilia. Le mire espansionistiche portarono Dionisio a combattere con i Siculi e con i Cartaginesi, che occupavano la Sicilia occidentale. Il Monte Tauro, per la posizione naturale occupata, costituiva un forte ostacolo a questo progetto colonialistico. Le truppe di Dionisio, infatti, dirette a Messina ed ancora oltre a Reggio, Crotone, Metaponto, Sibari, si trovarono impedito il passaggio dai Siculi, che presidiavano il Monte. Non riuscendo ad ottenere pacificamente il possesso della roccaforte, il tiranno cercò di occuparla con la forza. Nel 403 a.C. assediò Naxos e con la complicità di un traditore, certo Prokles, riuscì a conquistarla. La città, che per più di tre secoli, esattamente per 332 anni, si era sviluppata pacificamente con l'agricoltura, la pastorizia ed il commercio, fu incendiata e distrutta. Lo storico Pausania (II sec. d.C.) riferisce che la distruzione di Naxos fu così totale che, al suo tempo, non esistevano più nemmeno le rovine.

Moneta greca

Dopo la conquista di Naxos, Dionisio cinse d'assedio il Monte. In una notte senza luna, imperversando una tormenta di neve e di vento, le sue truppe, inerpicandosi per i dirupi del Monte, riuscirono ad impossessarsi dell'acropoli, situata dove sorge il Teatro greco. Ma i Siculi, destati dalle grida di allarme delle vedette, accorsero in massa e riuscirono a ricacciare giù i Siracusani. Dionisio, sconfitto, tolse l'assedio e tornò a Siracusa. Tuttavia, in forza di un trattato stipulato con i Cartaginesi qualche tempo dopo, esattamente nel 392 a.C., potè ottenere lo stesso il possesso del Monte. Andromaco, padre del famoso storico Timeo, che assunse il governo della città, è ritenuto il fondatore di Tauromenium.
La città, posta su un’altura a 205 m. s.l.m, era di fatto una località inespugnabile, soprattutto perché tre lati di essa erano costituiti da burroni spaventosi, che precipitavano direttamente a mare. Nonostante ciò, i Tauromeniti, per una più sicura difesa della polis, aggiunsero muri poderosi sul lato nord e sul lato sud, seguendo il sistema difensivo ellenico, che prevedeva una triplice cortina di muri e due soli punti di accesso alla città. Ancora oggi i muri sono visibili ed esistono le antiche porte della città.
Nel periodo di maggiore splendore, la popolazione di Tauromenium contò 12 mila abitanti. La lingua dominante fu il dialetto dorico. Il primo ordinamento della polis fu elaborato da Andromaco e venne inciso su tavole di marmo. Quattordici di queste tavole sono tuttora custodite nel piccolo Museo del Teatro antico. Il capo della polis era l’Eponimo. Durava in carica un anno e non era rieleggibile. Altri magistrati pubblici erano gli Strateghi, i Ginnasiarchi e i Proagori. Per l’elezione dei magistrati il popolo si riuniva nell’agorà, situata nell'attuale Piazza Badia.
Tauromenium, dovendosi difendere dalle pericolose incursioni dei Mamertini (mercenari allo sbando, in quel tempo al soldo di Siracusa), così chiamati dal dio Mamerte, affidò il comando militare ad un patriota ellenico di nome Tindarione per la durata di dieci anni. I Mamertini, nel 288 a.C., dopo avere conquistato Messina si spinsero fin sotto le mura della polis di Tauromenium, ma Tindarione riuscì a difenderla e a salvarla. Preoccupato per il pericolo di nuove incursioni di Mamertini e soprattutto per i propositi ostili dei Siracusani, nel 278 Tindarione chiese aiuto a Pirro, re dell'Epiro. Quest’ultimo raggiunse Tauromenium, accolto con entusiasmo dallo stesso Tindarione, ma non riuscì nell'impresa. Agatocle, tiranno di Siracusa, riuscì, infatti, ad assoggettare la città. Lo storico Timèo, figlio di Andromaco, fondatore di Tauromenium, che era un oppositore del tiranno, fu esiliato ad Atene, ove visse per 50 anni e morì, nel 261 a.C., alla età di 90 anni. Alla morte di Agatocle, Siracusa fu guidata da Gerone II. Questi riconobbe ai Tauromeniti l’autonomia, ma li assoggettò al pagamento della decima; all'obbligo, cioè, di versare la decima parte della ricchezza prodotta durante l'anno. Questo fu per la polis, comunque, un periodo di splendore e di benessere economico. I Tauromeniti si poterono dedicare alla costruzione del Teatro, delle Naumachie e degli acquedotti.
Si presentava, però, per Tauromenium il pericolo dei Cartaginesi, che dalla Sicilia occidentale cercavano di espandersi nella parte orientale occupata dalle colonie greco-siciliote. Col loro poderoso esercito avevano già devastato e distrutto diverse città, tra le quali Selinunte, Imera, Agrigento, Camerina e Gela. Un più grave pericolo si affacciava, ancora, non solo per Tauromenium, ma per tutta la Sicilia: i Romani. Nel 264 a.C., chiamati in aiuto dai Mamertini di Messina, arrivarono in Sicilia. Siracusa che, alla morte di Gerone II, aveva cessato la politica di alleanza con Roma, venne attaccata e rasa al suolo dall'esercito romano, guidato dal Console Marco Claudio Marcello. La popolazione fu massacrata e trovò la morte anche il grande Archimede.

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